Cover Polpo alla gola di ZerocalcareTre amici, un comprensorio scolastico, un segreto. E quindici anni dopo, scoprire che ciascuno di loro credeva che il segreto fosse uno solo, ma che ognuno aveva il suo. E che ce n’era uno, più grande, che nessuno di loro sapeva.” [Sinossi tratta dal sito dell’editore Bao Publishing]

Così viene presentato il nuovo lavoro di Zerocalcare, tanto atteso da tutti i suoi fan… E devo dire che sono davvero tanti, almeno osservando l’afflusso di pubblico giunto alla Alastor di Milano!

Ora voglio cominciare, per una volta, dal giudizio finale.
Chi si aspetta che Un polpo alla gola sia ai livelli de La profezia dell’Armadillo, secondo me rimarrà deluso…  Ma vi dico anche che non credo che sia colpa di Zerocalcare – mi spiego meglio – non credo che la sua vena creativa sia già esaurita. Credo però che la genialità, l’ironia e la delicatezza presenti nel primo volume abbiano creato altissime aspettative in noi lettori. Troppo alte.

Detto questo, se consideriamo che Un polpo alla gola è la sua prima Graphic Novel, ritengo che il racconto sia meritevole di attenzione.
La storia, divisa in tre atti corrispondenti alle 3 fasi della crescita  di Zerocalcare e dei suoi amici, è un mix tra un  intreccio fantasioso e riferimenti realistici e biografici. I personaggi sono tutti ben caratterizzati, dotati ciascuno di un sano umorismo e di una forte personalità . L’intreccio che fa da cornice al tutto è un giallo abbastanza lineare, ma decisamente godibile fino alla fine.
Mi è piaciuta molto l’idea di raccontare e rappresentare ciò che tutti noi abbiamo o abbiamo portato: un senso di colpa, un polpo alla gola. Chi può dire di non averlo mai avuto? E chi, per quanto difficile e costoso,  non ritiene che sarebbe meglio liberarsene? Non è forse vero che spesso ci portiamo addosso pesi inutili e ingigantiti dalle nostre paranoie e dal tempo?  Forse sì …

Cosa non mi ha convinto?
Per quanto caratteristici, ritengo che il difetto stia nel rendere il contesto sociale e storico così realistico: il lettore “anni ’80” rischia di farsi catturare maggiormente dalla possibilità di rivivere momenti nostalgici, terribili e fantastici, comunque indimenticabili della propria infanzia e adolescenza, dimenticandosi della storia che viene raccontata. Almeno così è successo a me.
Mi sono divertita e quasi commossa a scoprire che non sono stata la sola a subire icone quali David Gnomo e a vivere invece personaggi come Kan il Guerriero e Kurt Cobain, ho capito perfettamente il messaggio che voleva trasmettere l’autore… ma solo alle vignette finali mi sono ricordata che vi era una storia da seguire.

Sicuramente una cosa è vera:
“Ricorda: nessuno guarisce dalla propria infanzia”.

L’Annina

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