Premetto. Tremo all’idea di scriverne e non so se ne farò una vera e propria recensione.
Sono intimorita dalla bravura di Recchioni, non solo come sceneggiatore ma anche come blogger… e allo stesso tempo non credo che né lui né Carnevale abbiano davvero bisogno di alcuna presentazione o “raccomandazione”.
Il volume di “Mater Morbi” è però di una bellezza tale che è impossibile non parlarne.
La seducente attrazione che ho provato per questo racconto mi ha sconvolto. Sia chiaro, non sto parlando della protagonista, per quanto la sua personificazione sia decisamente sensuale.
E’ la naturale capacità con cui viene data vita alla Malattia e alle sue sfaccettature, è l’inquietudine e il dolore crescente in ogni tavola, è il terrore per ciò che avverrà in futuro, è la voglia di fuggire e poi tornare e trovare il coraggio di combattere una così terrificante presenza…
E’ la paradossale attrazione per Mater Morbi, il fascino del lasciarsi andare, forse per stanchezza piuttosto che per una paura ancora più grande per tutto ciò che avverrà…
Tutto questo è narrato in eccelsa maniera dalle tavole di Carnevale e Recchioni.
Lo avevo detto, non riesco a farne una recensione. E’ un volume che mi ha colpito nel profondo, che mi ha commosso e che credo potrebbe commuovere chiunque, per un motivo o per l’altro, abbia incontrato Mater Morbi.
Le riflessioni riportate in questo racconto sotto forma di dialoghi e flussi di coscienza rispecchiano la maturità e il coraggio di chi “ha avuto il coraggio di accettare la sua malattia e di vivere con essa, senza sprecare la sua esistenza in una guerra contro il suo stesso corpo“. Allo stesso tempo l’intera struttura mantiene la tensione e il ritmo tipico delle migliori storie di Dylan Dog, come se questo fosse uno dei suoi innumerevoli “incubi”.
Le tavole di Carnevale, l’attenzione con cui egli ritrae e caratterizza ogni personaggio e ogni ambiente, la sinergia che crea con il racconto narrato e i sentimenti espressi sono indescrivibili… o meglio… semplicemente fantastiche.
Che dire? Semplicemente complimenti!
A Recchioni e Carnevale per l’opera a cui hanno dato vita. Alla Bao Publishing per l’eccellente qualità con cui hanno pubblicato questo splendido lavoro.
L’Annina
P.S. Sì lo so che la storia era già uscita nel n. 280 della serie regolare di Dylan Dog, ma a tutti coloro che me lo ribadiscono e ritengono già di averla, dico… Fidatevi, non è lo stesso!
A parte la qualità di stampa e la dimensione del volume, questo albo presenta quasi cinquanta pagine di vignette scartate o alternative, bozzetti preparatori, illustrazioni realizzate in fase di progetto … Ma soprattutto un prologo di sei pagine scritto appositamente da Roberto Recchioni e dipinto da Massimo Carnevale.
Insomma, ne vale davvero la pena!
Beh, come dici tu stesso, questa non è una recensione, ma un continuo elogio.
Bene, posta a priori la validità dell’opera in sè, è certamente un racconto medio alto di DYD.
Certo, Recchioni dimostra il suo talento (ormai maturato), ma gran parte del merito va attribuito a Carnevale, che riesce a mantenere un ambiente claustrofobico, che simboleggia il tunnel di solitudine che la malattia impone, per tutta la durata del racconto, senza il quale la sceneggiatura ne avrebbe risentito parecchio.
Il soggetto è molto interessante, ma tutto sommato non ha molto di originale, è un continuo riflesso delle paure di Dylan verso la malattia che si ripercuotono sulla sua psiche.
Non hai analizzato i dialoghi col bambino, che risultano i meglio riusciti dell’intera vicenda, anche più di quelli con la stessa Mater Morbi.
O come anche la perdita di identità di Dylan quando i dottori lo chiamano con un’altro nome, segno che la malattia (in qualunque sua forma) può far perdere la consapevolezza di sè stessi.